Storia del doppiaggio: Il periodo post-bellico

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a cura di Gerardo Di Cola

Indice

Gli italiani tornano al cinema

Gli stabilimenti di Cinecittà trasformati in campo profughi

La guerra passa con il suo vento di morte sulle persone e sulle cose. Cinecittà, che, essendo l'orgoglio del regime, riesce ad ottenere finanziamenti anche quando i soldati al fronte non hanno di che vestirsi, di che mangiare e di che combattere, segue la sorte del paese. La produzione nazionale crolla dai 120 film del 1942 a poco più di 20 nel 1944[1]. Per fortuna il patrimonio dei cinema dislocati sulla penisola non subisce un grosso danno. Quando il conflitto cessa sono poco meno di cinquemila le sale che aspettano con apprensione le pellicole da proiettare. Non possono certo sperare in un rapido ripristino degli stabilimenti, Cinecittà impiegherà due anni per poter realizzare il primo film postbellico[2]. II pubblico italiano, che ha un assoluto bisogno di distrazioni, ricorda che i film americani danno una forte garanzia in tal senso. Per l'approvvigionamento è necessario tornare a guardare oltre Atlantico, non potendosi rivolgere agli altri paesi europei, anch'essi disastrati. Il 5 ottobre 1945 viene abolita la legge sul Monopolio e una ventata di liberalizzazione spazza via l'aria appesantita dalle tante imposizioni dello scomparso regime.
Le majors statunitensi non aspettano altro dopo anni di embargo in cui hanno accumulato tanti film. Le case più importanti hanno provveduto a doppiare in loco parte della produzione. Qualche titolo: La mia via del 1944 di Leo McCarey della Paramount. Della MGM Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsch del 1940 e, sempre dello stesso anno, Ti amo ancora di W. S. Van Dyke, Prigionieri del passato di Mervin LeRoy del 1942, Balla con me di Norman Taurog del 1944. Della Warner Bros Le cinque schiave di Lloyd Bacon del 1937, Tramonto di Edmund Goulding del 1939; del 1940 Strada maestra di Raoul Walsh e Lo sparviero del mare di Michael Curtiz, Il mistero del falco di John Huston del 1941, del 1942 Il sentiero della gloria di Raoul Walsh e Ribalta di gloria di Michael Curtiz; del 1944 Acque del sud di Howard Hawks.
In Carovana d'eroi, sempre della Warner, di Michael Curtiz con Errol Flynn e Randolph Scott, la voce di Miriam Hopkins è di Margherita Bellini[3], la seconda moglie di Giovanni Bellini, detto Nino, padre di Gianfranco, una delle voci più note ed apprezzate nel dopoguerra. Probabilmente Abramo Lincoln è doppiato da Giovanni Bellini, ma è quasi impossibile risalire alla paternità di queste voci che arrivano dall'America e che non sono gradite[4]. Celebre la battuta che Errol Flynn si permette di rivolgere al banditello Humphrey Bogart, non ancora il Rick di Casablanca: «Tu mi sei antipatico con quei baffetti unti e bisunt», prima dell'epica battaglia su una diligenza proiettata a folle velocità da sei cavalli non più governabili.
Questi film sbarcano in Italia insieme alle truppe alleate che la devono liberare. In massa gli italiani si riversano nelle sale per ricucire uno strappo lungo anni con un cinema che un tempo li distraeva, li faceva sognare e adesso li deve allontanare definitivamente dal passato. Gli americani mostrano subito le loro intenzioni, e lo fanno attraverso l'ammiraglio Stone, che dichiara non bisognevole di un'industria del cinema un paese agricolo come l'Italia[5]. È un maldestro tentativo di affondare definitivamente non poteva essere altrimenti se si tiene conto dell'attività di Stone la cinematografia italiana. Per completare lo scellerato proposito gli alleati americani decidono che gli stabilimenti di Cinecittà e Pisorno diventino, rispettivamente, campo profughi e campo logistico. Poi mondano con seicento film, con tanti fondi di magazzino, la penisola che si va riunendo. Le pellicole non doppiate dagli oriundi italiani resi denti negli Stati Uniti portano le "famigerate", per gli italiani, didascalie. Gli stessi fautori dei sottotitoli, però, riconoscono l'impossibilità di seguirli perché scorrono troppo velocemente e sono scritte in maniera poco leggibile. E poi l'analfabetismo è ancora una piaga[6]. II pubblico, che non li ha mai amati, diserta le sale dove passano, per affollare quelle che propongono i film doppiati. Presto, però, lo spettatore si accorge che quelle non sono le voci della memoria e rimane deluso. Altri timbri e inconsueti, inflessioni strane, atmosfere diverse, recitazioni precarie, dizioni non curate. Si ha l'impressione di vedere una cinematografia diversa da quella a cui si è abituati, eppure il prodotto è totalmente "made in USA"[7]. È evidente, e lo è anche per i critici, che bisogna recuperare, se doppiaggio deve essere, la vecchia compagine di doppiatori, la sola in grado di garantire la qualità nella quantità di lavoro che si profila: nel 1946 arrivano 215 film stranieri (di cui 188 dagli USA), nel 1947 sono 360 (287 targati USA), nel 1948 sono 410 (344 USA).

Roma città aperta e la nascita della CDC

Tra i due manifesti di Roma città aperta alcuni fotogrammi significativi e i relativi attori e doppiatori coinvolti.

Gli attori doppiatori, già pionieri ormai diventati storici, non si sono allontanati molto, avendo frequentato le sale di doppiaggio fino alla fine del 1943.Si ritrovano in tutta fretta e si riorganizzano in cooperativa, come vedremo, all'indomani della liberazione di Roma.
A cavallo tra il 1944 e il 1945, nella capitale c'è un gruppo di cineasti che cerca con mezzi di fortuna di girare quello che diventerà Roma città aperta'. Il film viene proiettato il 24 settembre 1945 al Teatro Quirino in occasione del 1° festival del cinema nella Roma liberata[8].

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Al festival partecipano anche, per la Francia, L'amore e il diavolo di Marcel Carnè e, sempre di Carnè, Amanti perduti con Arletty doppiata da Andreina Pagnani, Jean Louis-Barrault da Augusto Marcacci, Pierre Brasseur da Stefano Sibaldi, Marcel Herrand da Emilio Cigoli, che è appena rientrato dalla Spagna[9], Louis Salou da Sandro Ruffini, Maria Casarès da Lydia Simoneschi, Jane Marken da Giovanna Scotto e Pierre Renoir da Amilcare Pettinelli. Dall'Inghilterra Spirito allegro di David Lean e Enrico V di Laurence Olivier, con Olivier doppiato da Gino Cervi, Leo Genn da Emilio Cigoli, Leshe Banks da Sandro Ruffini, Max Adrian da Giulio Panicali, Felix Aylmer da Amilcare Pettinelli, Robert Newton da Carlo Romano, Esmond Knight da Giorgio Capecchi, Renée Asherson da Lydia Simoneschi, John Laurie da Lauro Gazzolo e Ralph Truman da Gaetano Verna. Alberto Lattuada presenta Nostra guerra. Dalla Russia arriva Ivan il terribile di Sergej M. Ejzenstejn, è doppiato, sotto la direzione di Franco Schirato alla Fono Roma, da Aldo Silvani[10].
Nel caos dell'offerta dilagante di film statunitensi da doppiare le voci della memoria decidono di associarsi per coordinare al meglio l'evento eccezionale che segue il conflitto mondiale. I primi contatti si hanno a guerra non ancora conclusa soprattutto tra i direttori di doppiaggio. Franco Schirato della Metro, Nicola Fausto Neroni della Warner, Luigi Savini della Paramount e Sandro Salvini della Fox, venuti a conoscenza delle intenzioni delle rispettive case di non riaprire i propri stabilimenti di sincronizzazione, pensano di costituire una organizzazione che coinvolga le voci dell'anteguerra, quelle più note e le meno, cercando di raccoglierle tutte per operare in un regime di monopolio[11]. L'idea si sparge in un baleno tra gli attori-doppiatori di un tempo e tra i tanti che vedono una possibilità immediata di buttarsi definitivamente alle spalle le ristrettezze a cui la guerra li ha costretti. Alcuni incontri preliminari tra i direttori e gli attori più importanti che si trovano a Roma mettono in evidenza dell'assoluta necessità, per dare stabilità al rapporto associativo, di garantire ai futuri aderenti un lavoro sicuro e continuativo, anche se proporzionato alle capacità individuali. Nello stesso tempo si devono vincolare le voci che sono legate ad attori stranieri noti e quelle con caratteristiche peculiari e inusuali, magari riconoscendo ad esse un "peso" diverso e, quindi, una forza contrattuale adeguata[12]. Infine bisogna rendere impermeabile l'organizzazione che deve trovare nel suo interno le "energie" necessarie per soddisfare qualsiasi tipo di richiesta. La forma di associazione che sembra rispondere meglio alle esigenze è la cooperativa che dà anche precise garanzie per il contenimento dello strapotere delle case di produzione e di distribuzione. Nasce la Cooperativa Doppiatori Cinematografici (CDC).

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce C.D.C. - Cooperativa Doppiatori Cinematografici.
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Casablanca e le grandi voci narranti

i doppiatori di Casablanca

Nel 1945 si doppia Il ladro di Bagdad di Berger e Powell, dove Giulio Panicali (John Justin) interpreta Ahmed; Gianfranco Bellini (Sabu) è Habre, Emilio Cigoli (Conrad Veidt) è Jafar e Lydia Simoneschi (June Duprez) è la principessa. Ci sono, tra gli altri, anche Mario Besesti, Lauro Gazzolo, Cesare Polacco, Olinto Cristina, Giovanna Scotto e Stefano Sibaldi.
Nel 1946 la Warner Bros affida alla CDC e quindi a Nicola Fausto Neroni il doppiaggio del suo capolavoro Casablanca di Michael Curtiz. Neroni, affermando di voler rispettare le direttive della casa di produzione, sceglie Bruno Persa, l'attore che più aderisce al fisico e al volto di Humphrey Bogart, l'indimenticabile Rick. A doppiare Ingrid Bergman nella parte di Usa Lund chiama Giovanna Scotto. L'attrice svedese solitamente ha la voce di Lydia Simoneschi come in Intermezzo della United Artists nel 1941 e nel 1945 in La famiglia Stoddard della Columbia e in Follia della Metro, ma in questa occasione la Warner preferisce per la Bergman una voce esperta, ma non ancora "inflazionata" In realtà Neroni, che è il Capo Ufficio Edizioni e direttore di doppiaggio della WB, non ama lavorare con i doppiatori più gettonati dagli altri direttori[13]. Egli, anche per le parti secondane, tende a chiamare le voci meno ricorrenti quando ciò è possibile. È un atteggiamento, questo, che non è gradito ai vertici della organizzazione, ma per il momento Neroni è troppo potente essendo il referente di una casa che produce tanti film di rilievo. Lo scontro inevitabile arriverà, ma diversi anni dopo[14]. Nella parte di Victor Laszlo viene chiamato Ennio Cerlesi (Paul Henreid) e in quella del capitano Luis Renault Amilcare Pettinelli (Claude Rams), Sam, il pianista nero, è Cesare Polacco (Dooley Wilson) e Carl è Corrado Racca (S. Z. Sakall). Il signor Ferrari è Mario Besesti (Sydney Greenstreet), Ugarte è Lauro Gazzolo (Peter Lorre) e il maggiore Strasse è Nino Pavese (Conrad Veidt). Ci sono anche il caratterista Giorgio Bassanelli (John Qualen) e Alberto Sordi che dà voce al ladro di portafogli.

Un discorso a parte merita la voce narrante di Casablanca, una delle più ricorrenti voci del tempo perduto, quelle che provengono da qualsiasi parte e vanno in ogni dove, che permeano lo spazio pur non circoscrivendolo, senza confini temporali, che a volte ci guidano in una dimensione soprannaturale e altre ci introducono nella favola cinema, sempre nell'impossibilità di focalizzarle su un volto, indelebili anche se invisibili, misteriose e pure così presenti, esse sono le voci acusmatiche, sono le voci della memoria. È Vittorio Cramer che ci accompagna nell'inizio folgorante di Casablanca con la sua voce irripetibile, anche se è tra le più parodiate[15]: «All'inizio della seconda guerra mondiale molti occhi nell'Europa oppressa si volsero pieni di speranza o di angoscia verso la libera America.
Lisbona divenne il grande centro di imbarco, ma non tutti erano in grado di raggiungere direttamente Lisbona. Molto spesso ai profughi rimaneva la sola alternativa di un lungo tortuoso giro da Parigi a Marsiglia, e, attraverso il Mediterraneo, a Orano. Poi in treno o in auto o a piedi dalle coste dell'Africa a Casablanca, nel Marocco francese. Là i più fortunati, col denaro, le relazioni o la buona sorte, ottenevano il visto di partenza e correvano a Lisbona e da Lisbona all'America. Ma gli altri aspettano a Casablanca, aspettano, aspettano, aspettano…».
Meritano attenzione le voci acusmatiche: Ruggero Ruggeri che in Don Camillo (1951) offre la sua voce ancestrale a Cristo, Mario Besesti che in Francis il mulo parlante (1950) permette all'animale di parlare con l'uomo, Gianfranco Bellini che in 2001: Odissea nello spazio (1968) rende tenero ed umano il computer HAL-9000, Vittoria Febbi che ne La notte di San Lorenzo (1982) con voce ovattata, materna e sensuale, perforando lo spazio e il tempo, ci sospinge a varcare la soglia dei ricordi. E le voci narranti, tante, come Gino Cervi ne Il vecchio e il mare (1958), Il re dei re (1961) e Quarto potere (1948), Enrico Maria Salerno in Tom Jones (1963), Vittorio Cramer in La guerra dei mondi (1954), La legione dei condannati (1949) e in tanti altri film dal numero imprecisabile, Stefano Sibaldi in L'età della violenza (1954), Giorgio Capecchi in Mi piace quella bionda (1949), Mario Pisu in La conquista del West (1962), Nando Gazzolo in Salomone e la regina di Saba (1960) e La ribelle del West (1958), Corrado Racca in Il ritratto di Dorian Gray (1947) e Il 13 non risponde (1949), Lydia Simoneschi in II buio oltre la siepe (1962), Riccardo Cucciolla in I vitelloni (1953), Renato Turi in Cleopatra (1963) e Quinto potere (1976), Gianfranco Bellini ne Il cacciatore del Missouri (1952), Emilio Cigoli in Com'era verde la mia valle (1945), II grande sentiero (1964), Asfalto che scotta (1960), La settima croce (1948), Don Camillo (1954).

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Nel film Amleto (1948) di Laurence Olivier la voce acusmatica assume un ruolo fondamentale nell'evolversi del racconto. Nella tragedia dell'indecisione umana e del dubbio esistenziale, lo spirito del re di Danimarca vaga senza pace e aleggia nel castello e nelle menti solo in quanto voce, condizionando le vicende umane. Lo spettro (Aldo Silvani, che recita con un imbuto davanti alla bocca[16]) con voce soffiata, inafferrabile, non localizzabile, che sembra sempre sul punto di perdersi in un baratro infinito, creando uno spazio sonoro sfumato, che induce Marcello (Anthony Quayle, voce di Mario Ferrari) a dire: «c'è qualcosa di marcio nello stato di Danimarca», si palesa al figlio, principe Amleto (Laurence Olivier, voce di Gino Cervi), che lo segue attonito. La sconvolgente rivelazione ha un effetto sconvolgente. I personaggi lentamente perdono spessore per trovarsi essi stessi voci acusmatiche: il principe Amleto, risvegliatosi lucido e spietato, quando sta per pugnalare Claudio (Basii Sydney, voce di Mario Besesti), lo zio fratricida; Ofelia (Jean Simmons, voce di Miranda Bonansea) quando lentamente scivola nella pazzia, la regina (Eileen Herbe, voce di Giovanna Scotto) quando si fa voce fuori campo per narrare il suicidio per annegamento di Ofelia, Laerte (Terence Morgan, voce di Adolfo Geri) quando, dopo il duello mortale, rivela il tradimento, mentre il piano immagine si sofferma sugli ultimi istanti di vita della regina avvelenata da una coppa di vino destinata ad Amleto. Tra angolazioni di ripresa e movimenti di macchina arditi, il dramma si compie. Amleto, ferito dalla punta avvelenata della spada di Laerte, muore tra le braccia del fedele amico, Orazio, che recita con la voce di Cigoli: «Io muoio, Orazio. Il potente veleno è più forte del mio spirito. Se tu mai mi tenesti nel tuo cuore, allontanati dalla felicità alcun poco e in questo rozzo mondo trova fiato nel dolore per dire la mia storia. Il resto è silenzio». È il trionfo dell'acusma[17].

La fine del monopolio della CDC e la nascita della ODI

Nel 1947 la cooperativa doppia Forza bruta di Jules Dassin con Emilio Cigoli (Buri Lancaster), Bruno Persa (Hume Cronyn), Gaetano Verna (Charles Bickford), Giulio Panicali (Howard Duff), Sandro Ruffini (Jeff Corey) Stefano Sibaldi (Sam Levine), Augusto Marcacci (Whit Bissell), Lauro Gazzolo (John Hoyt), Lydia Simoneschi (Yvonne De Carlo), Renata Marini (Ann Blyth), Rosetta Calavetta (Ella Rames). Nel 1948 La storia del generale Custer di Raoul Walsh con, nella parte di Custer, Gualtiero De Angelis(Errol Flynn) che pronuncia la celebre battuta «la gloria te la porti dietro quando è arrivata l'ora». Ci sono anche Dhia Cristiani (Olivia De Havilland), Nino Pavese (Arthur Kennedy), Olinto Cristina (Charles Grapewin), Mario Besesti (Sydney Greenstreet), Gaetano Verna (John Litel), Renato Turi (John Ridgely), Lauro Gazzolo (Regis Toomey) e Maria Saccenti che doppia Hattie McDaniel. Accadrà di nuovo l'anno successivo quando la Saccenti proporrà la straordinaria caratterizzazione di Mammy in Via col vento. Nel 1949 Peccatrici folli di George Cukor con Tina Lattanzi (Joan Crawford), Giulio Panicali (Frednc March), Dhia Cristiani (Ruth Hussey), Emilio Cigoli (John Carroll), Rosetta Calavetta (Rita Hayworth), Amilcare Pettinelli (Nigel Bruce), Gualtiero De Angelis (Bruce Cabot), Clelia Bernacchi (Rose Hobart), Miranda Bonansea (Rita Quigler).

Tra il 1947 e il 1948, la CDC inizia anche una politica di ridoppiaggio di film dei primi anni del sonoro, un titolo per tutti: Viva Villa! di Jack Conway, con Mario Besesti (Wallace Beery) nella parte di Pancho Villa. In sala di doppiaggio ci sono anche Carlo Romano, Renato Turi, Manlio Busoni, Stefano Sibaldi, Vinicio Sofia, Vittorio Cramer, Cesare Polacco, Mario Ferrari. In definitiva la solita compagine che governa il mondo delle voci da oltre quindici anni, non essendovi la necessità di cambiare per due ordini di motivi: i committenti, soprattutto americani, non gradiscono le novità visti i positivi risultati raggiunti in poco tempo; e il pubblico che, avendo imparato ad amare queste voci così belle e irraggiungibili, non accetterebbe facilmente qualcosa di diverso. Il consiglio di amministrazione della CDC, proprio per la cura con cui ha "associato" le voci più significative, quelle che possono vantare una meccanica impeccabile nel sincronismo e una straordinaria musicalità naturale, non può immaginare che poco tempo dopo la sua formazione dovrà fare i conti con un'altra associazione di doppiaggio, la O.D.I - Organizzazione Doppiaggio Italiano.
Il conte Giacomo Giannuzzi Savelli, appassionato di cinema e importatore di film soprattutto francesi, non gradendo la situazione di monopolio che si è determinata, fonda infatti intorno agli anni 1944-1945, in antitesi alla CDC, la società di doppiaggio O.D.I. - Organizzazione Doppiaggio Italiano[18].

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce O.D.I - Organizzazione Doppiaggio Italiano.

Note

  1. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 73
  2. ibidem
  3. ibidem
  4. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 74
  5. ibidem
  6. ibidem
  7. ibidem
  8. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 75
  9. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 76
  10. ibidem
  11. ibidem
  12. ibidem
  13. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 78
  14. ibidem
  15. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 79
  16. ibidem
  17. ibidem
  18. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 81


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