Storia del doppiaggio: Il periodo del velo

Da Enciclopedia del Doppiaggio.it.

1leftarrow.pngVoce principale: Storia del doppiaggio.

Scheda a cura di Gerardo Di Cola

Il periodo del velo

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Tra il 1937 e il 1938 accade ciò che sarebbe anche oggi auspicabile: due riviste di cinema, al termine della solita recensione, dedicano uno spazio più o meno breve, ma significativo, al doppiaggio dei film e agli attori che lo hanno realizzato. Ciò testimonia la crescente presenza del fenomeno nel panorama cinematografico e attesta l'elevata qualità ormai raggiunta dalla post-sincronizzazione del parlato. È una consuetudine che dura il breve arco di qualche film. Tra gli altri, balzano agli onori della cronaca i doppiaggi de II mistero della camera nera di Roy William Neill effettuato alla Itala Acustica da Mario Besesti (Boris Karloff), Franca Dominici (Manan Marsh) e ancora Mario Pisu, Olga Solbelli e i caratteristi Leo Garavaglia e Nino Camarda, sempre alla Itala, sotto la direzione di Pier Luigi Melani, Sorgenti d'oro di Rouben Mamoulian con Lydia Simoneschi (Irene Dunne), Giulio Panicali (Randolph Scott), Giovanna Scotto (Dorothy Lamour); negli stabilimenti Cines-Palatino, sotto la direzione di Luigi Savini, Cupo tramonto di Leo McCarey, con Gero Zambuto, Gaetano Verna, Giovanna Scotto, Carlo Romano; il film francese di Nicolas Farkas Port Arthur, con Lydia Simoneschi, Giulio Panicali, Amilcare Pettinelli, Renata Marini, Lauro Gazzolo; Seguendo la flotta di Mark Sandrich, con Paolo Stoppa (Fred Astaire), Andreina Pagnani (Ginger Rogers), Gualtiero De Angelis (Randolph Scott), Lydia Simoneschi (Betty Grable). Sono, inoltre, recensiti i film doppiati alla Fono Roma: Incontro a Parigi di Wesley Ruggles con Marcella Rovena (Claudette Colbert), Gaetano Verna (Melvyn Douglas), Gualtiero De Angelis (Robert Young); I lancieri del Bengala di Henry Hathaway con Romolo Costa (Gary Cooper), Sandro Ruffini (Franchot Tone), Augusto Marcacci (Richard Cromwell), Mario Ferrari (Guy Standing), Olinto Cristina (Aubrey Smith), entrambi diretti da Sandro Salvini.

Tale esperienza, che avrebbe senz'altro aiutato il doppiaggio a migliorarsi, non si ripeterà più. Su quel mondo non si dovranno spendere più parole né nel bene né nel male, come un male oscuro da nascondere[1]. Non ci si occuperà più, se non sporadicamente, del doppiaggio e tanto meno dei doppiatori i cui volti resteranno ai più sconosciuti insieme alle loro biografie. Soltanto alcuni, talmente "presenti" da non poter essere celati, riusciranno a perforare il velo che scende su di loro, per l'interesse di pochi e l'indifferenza di tanti. Nei titoli di coda dei film, col tempo, anche gli aiuti parrucchieri avranno una riga per la memoria futura. Agli attori-doppiatori, che con la loro opera permettono all'industria cinematografica di salvarsi, di andare avanti e di espandersi (nel 1938 le sale cinematografiche sono quasi 4000 e un quarto di esse ha attività giornaliera mentre la produzione italiana si attesta intorno agli 80 film), anche questo viene negato. Bisogna aspettare il 1968 per ottenere, grazie ad una azione rivendicativa nello stile di questi anni, ma solo per le voci principali, il nome nei titoli, e si stabilisce di non doppiare più gli attori italiani se non in casi particolari[2].

Il primo "vero" doppiaggio: Roberto Villa e Mario Pisu

Nel 1936 si affaccia alla ribalta cinematografica un giovane elegante, alto, bello e fotogenico. Si chiama Giulio Sabetta, prenderà il nome d'arte di Roberto Villa. Sabetta, per l'occasione, e da allora per sempre Villa, viene scelto da Camenni per interpretare ne II grande appello la parte del protagonista giovane accanto a Camillo Pilotto. Ma il ventenne Roberto non ha ancora avuto al possibilità di portare a termine i corsi al Centro Sperimentale di Cinematografia, né ha avuto esperienza di teatro e di radio. Così, al momento di doppiarsila presa diretta sta per cadere in disuso gli standard delle sue qualità vocali non risultano confacenti a quelli raggiunti dagli altri attori. Camerini decide di farlo doppiare da Mario Pisu, anch'egli attor giovane elegante, alto, bello e fotogenico, ma già con una certa esperienza di teatro e di cinema e, quindi, di sale di sincronizzazione. Nell'operazione certamente si rispetta una delle condizioni per l'attribuzione di una voce: la somiglianza tra il doppiato e il doppiatore; ma, forse, è la prima volta che un attore italiano protagonista parla con la voce di un altro[3]. Camerini invita il giovane Villa diventerà un valente doppiatore nel dopoguerra a colmare la lacuna se vuole proseguire la sua attività nel mondo del cinema. Il grande regista non può immaginare che il prestito della voce tra attori italiani diventerà di lì a poco una consuetudine che si accentuerà nel tempo e che non porterà del bene al doppiaggio.

Nel 1939 esce nelle sale cinematografiche un film dove gli attori italiani che parlano con la voce di altri è in numero maggiore rispetto a quelli non doppiati. Si tratta de II fornaretto di Venezia di Duilio Coletti che firma il film (altra singolarità che si ripeterà spesso nel cinema italiano) con lo pseudonimo americanizzato di John Bard. Gli attori non doppiati sono Gero Zambuto, prima potente voce di Wallace Beery, Stefano Sibaldi, che diventerà uno tra i più significativi doppiatori, Cesare Zoppetti e Cesare Polacco, il signore che non ha mai usato la brillantina[4], quelli a cui è sostituita la voce sono Elsa De Giorgi (Lydia Simoneschi), Clara Calamai (Tina Lattanzi), Osvaldo Valenti (Giulio Panicali), Enrico Glori (Emilio Cigoli), Letizia Bomm (Andreina Pagnani), Carlo Tamberlani (Gaetano Verna) e, manco a dirlo, il fornaretto Roberto Villa che questa volta parla grazie allo straordinario Carlo Romano la cui timbrica carezzevole sarà tra le più amate e riconoscibili. A parte il prestito che Giovanna Scotto fa della sua bella voce, nel 1937, a Francesca Braggiotti che interpreta la parte di Sofonisba in Scipione l'africano di Carmine Gallone, prestito giustificato dall'italiano non pulito dell'attrice di origini toscane, è nel 1938 che si fa un consistente ricorso al doppiaggio di attori italiani. Nel film L'argine di Corrado D'Errico, con Luisa Ferida, Gino Cervi e Carlo Romano, Rubi D'Alma è doppiata da Lia Orlandini, in Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, con Gino Cervi e Elisa Cegam, Clara Calamai parla con la voce ancora della Orlandini e Osvaldo Valenti con quella di Gilberto Mazzi, nel film partecipano altri attori che sono già o diventeranno doppiatori Mario Ferrari, Corrado Racca, Arnoldo Foà, Mano Gallina, Dhia Cristiani, Giovanni Onorato e il piccolo Tao (Paolo) Ferrari.

Nella versione italiana de La principessa Tarakanova di Mano Soldati, con Memo Benassi e Alberto Sordi al suo esordio, Enrico Glori è doppiato da Lauro Gazzolo e Anna Magnani da Marcella Rovena, in sala di registrazione ci sono anche Lydia Simoneschi (Annie Vernay), Augusto Marcacci (Pierre-Richard Willm), Gaetano Verna (Roger Karl), Giovanna Scotto (Suzy Pnm). In Giuseppe Verdi di Carmine Gallone, Maria Cebotari ha la voce di Clelia Bernacchi che doppierà, l'anno successivo, anche Dina Sassoh in Follie del secolo di Amleto Palermi, con Armando Falconi, Paola Barbara, Sergio Tofano e i già affermati doppiatori Carlo Romano e Vinicio Sofia. In Torna, caro ideal! di Guido Bngnone, con Laura Adam, Claudio Gora è doppiato da Sandro Ruffini e Bruno Persa, che diventerà l'indimenticabile voce di Humphrey Bogart, parla con la timbrica di Gualtiero De Angelis. Il "doppiatore doppiato": tale singolarità, tra le innumerevoli volte[5], si ripete in L'amore si fa così di Carlo Ludovico Bragaglia, con Enrico Viansio, Paolo Stoppa e Giorgio Capecchi, dove Romolo Costa, il doppiatore di Clark Gable e Gary Cooper, parla con la voce di Emilio Cigoli, mentre Rosetta Calavetta si sostituisce a Jacquehne Prevost, Tina Lattanzi a Colette Darfeuil e Giovanna Scotto a Clara Padoa, anch'essa alcune volte in veste di doppiatrice. Una iniziale necessità, si va consolidando in consuetudine. La consuetudine porta in sé il germe dell'eccesso. Gli eccessi devono, in qualche modo, essere tenuti sotto controllo, specialmente in un settore della post-produzione cinematografica molto delicato dove è facile "eccedere", bisognerebbe vigilare, quindi, ma parlando di doppiaggio, non demonizzandolo[6]. Il prestito della voce tra attori italiani, verso cui il grande pubblico mostra disinteresse, non è gradi to a gran parte di giornalisti, scrittori e critici cinematografici, i quali si interrogano soltanto sulla validità estetica dell'operazione, pur essendo consapevoli dell'ineluttabilità del fenomeno per i tanti motivi pratici, economici e politici. Così, coloro che dovrebbero criticare con l'intento di arginare gli eccessi, consigliare per contribuire a migliorare l'attività degli adattatori e dei doppiatori, dialogare per non emarginare, si disinteressano del fenomeno ed una intera categoria di operatori dello spettacolo si ritrova ad auto gestirsi, avendo come unica controparte il "mercato" delle voci che ne determina i valori. L'equilibrio dei prodotti dell'industria del doppiaggio scaturisce soltanto dalla sensibilità e professionalità dei suoi addetti[7].

Note

  1. G. Di Cola -"Le voci del tempo perduto", p. 47
  2. G. Di Cola -"Le voci del tempo perduto", p. 48
  3. ibidem
  4. G. Di Cola -"Le voci del tempo perduto", p. 49
  5. G. Di Cola -"Le voci del tempo perduto", p. 50
  6. ibidem
  7. ibidem

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