Storia del doppiaggio: Il periodo del muto

Da Enciclopedia del Doppiaggio.it.

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Parigi. Al cinema Lumiére si proietta L'arrivée d'un train a la Ciotat (L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1895). Gli spettatori sono stupiti e preoccupati.
In realtà il disegno originale, eseguito da Auzolle, riproduce sullo schermo la sequenza più esilarante de L'arroseur arrosé (L'innaffiatore innaffiato,1895)

Scheda a cura di Gerardo Di Cola

Indice

La nascita del cinema

La storia del doppiaggio è parte di quella più generale del cinema che, a sua volta, è la storia di innumerevoli invenzioni. L'uomo, nell'arco di un considerevole numero di anni, realizza procedimenti e apparecchi che gli permettono di conservare la memoria di sé attraverso immagini e suoni più fedeli alla realtà in quanto registrazione oggettiva di essa, rispetto ai dipinti, alle sculture e alla scrittura che risultano essere una interpretazione della realtà stessa. Nel 1824 Nièpce ottiene la prima fotografia in bianco e nero, La tavola imbandita. Qualche anno dopo Scott (1851) inventa un prototipo di riproduttore di suoni da cui derivano il grammofono a disco (1857) e il fonografo di Thomas Alva Edison, che lo brevetta il 19 dicembre del 1887. Nel frattempo Meucci e Bell (1874) inventano il telefono. Ancora Edison, nel 1874, realizza e brevetta il cinetografo, un apparecchio che cerca di movimentare una sene di fotografie. Si è ad un passo dall'invenzione del cinema. Edison passerà alla storia come il suo inventore mancato. Il 13 febbraio del 1895 i fratelli Auguste e Louis Lumière brevettano l'apparecchio che chiamano cinematografo II 28 dicembre dello stesso anno viene proiettato al Salone Indiano di Parigi il primo film rigorosamente muto della storia, realizzato dai fratelli all'uscita dei loro stabilimenti e alla stazione ferroviaria. La pellicola, che ha un grande successo, contiene anche le sequenze del celeberrimo L'innaffiatore innaffiato.

Dal doppiaggio "dal vivo" di Fregoli al meta-doppiaggio in Cantando sotto la pioggia

Leopoldo Fregoli in una ideale composizione realizzata con disegni originali

Leopoldo Fregoli, notissimo trasformista di fine secolo, si esibisce in Italia in alcuni film di canto e prestidigitazione, girati necessariamente senza il sonoro. È il primo a realizzare un cinema cantato e parlato venticinque anni prima dell'avvento del sonoro. II metodo è quanto mai ingegnoso: nascosto tra le quinte, mentre la proiezione avviene per trasparenza dal palcoscenico, pronuncia le battute d'ogni personaggio da lui interpretato e canta i brani musicali con perfetto sincronismo. Il suo forte desiderio di colpire l'immaginazione dello spettatore lo spinge a superare, con l'inventiva, i limiti tecnologici, senza utilizzare i dischi fonografici come qualcuno cerca di fare, ma "doppiando" in diretta i personaggi delle sue farse; anche nel canto, rendendo le sue bizzarrie musicali ancora più incisive e divertenti. Si trova qualcosa di analogo in Cantando sotto la pioggia nella sequenza dove una diva del muto, Lina Lamont (Jean Hagen) canta davanti al pubblico dopo la proiezione del suo ultimo film, muovendo soltanto le labbra, mentre da dietro il sipario la voce deliziosa di Kathy Selden (Debbie Reynolds), una giovane attrice, la doppia. Oltre ad essere insopportabile, Lina ha una timbrica sgradevole, certamente non adatta per la nuova conquista del cinema, il sonoro. Ha potuto recitare nel film grazie al doppiaggio, da poco inventato, ma quando il pubblico scopre la sua vera voce la subissa di fischi, decretandone la fine artistica. Il film di Stanley Donen e Gene Kelly, girato nel 1952, ripercorre la fase delicata del passaggio dal cinema muto al sonoro; fase che ha interessato la seconda metà degli anni '20. Soltanto coloro che riescono a reggere anche il confronto con il microfono, e non solo con la macchina da presa, possono sperare di proiettare nel futuro la loro carriera di attori. La vicenda è nota, nella Hollywood del 1927 si sta girando una pellicola pensata per il muto. La rivoluzione del sonoro obbliga, però, a rivedere la sceneggiatura che non prevede dialoghi né parti cantate. Don Lockwood (Gene Kelly), il protagonista, è capace di recitare con la sua bella voce, al contrario dell'antipatica Lina, che ne possiede una improponibile. Il produttore (Millard Mitchell), non perdendosi d'animo, decreta che Lina sarà doppiata. La prescelta è l'adorabile Kathy di cui Lina è gelosa per il crescente interesse che Don mostra nei confronti della giovane rivale. La doppiata pretende per contratto l'assoluto silenzio sull'espediente che le permette di cantare con la voce di un'altra. Quando, avventatamente, la presuntuosa Lina pensa di poter parlare agli spettatori con la sua ridicola voce, il pubblico si accorge del trucco. Non è un trucco, è il doppiaggio, l'ultima e più importante invenzione cinematografica dopo quella del sonoro. L'esperienza di Fregoli si configura come un "doppiaggio ante litteram" anche se il cinema imparerà a parlare diversi anni dopo, inspiegabilmente[1]. L'invenzione del fonografo, infatti, precede di molto la registrazione delle immagini in movi mento la cui sincronizzazione con i suoni è il problema più spinoso che i tecnici e gli scienziati della comunicazione si trovano a dover risolvere. La trovata di Fregoli si propone di mitigare il silenzio assoluto dei film, silenzio rigato soltanto dal rumore della macchina di proiezione e, sporadicamente, da qualche orchestrina di basso profilo che accompagna, ai piedi dello schermo, l'azione. La comprensione approssimativa del soggetto è affidata alle didascalie che cercano di riassumere i dialoghi e spiegare gli eventi. Esse vengono lette dagli spettatori delle sale popolari in coro, mentre coloro che faticano nella pratica della lettura danno di gomito ai vicini per accedere all'informazione.

L'esperimento del Don Giovanni e Lucrezia Borgia

John Barrymore e Mary Astor in Don Giovanni e Lucrezia Borgia (1926) di Alan Crosland. Primo film sonoro dotato soltanto di musiche.
Al Jolson in Il cantante di jazz (1927) di Alan Crosland. Film musicale in cui viene recitata, registrata e riprodotta la prima battuta della storia del cinema.

Nel 1926 la Warner Brothers (WB) naviga in cattive acque in seguito ad alcune operazioni azzardate. La situazione è talmente compromessa da non poter essere risolta azzeccando casualmente qualche film. È il periodo in cui le grandi case cinematografiche statunitensi cercano con ostinazione e lungimiranza, ma con eccessiva cautela, un sistema per far parlare il cinema. Girano tra gli studios diversi brevetti per rendere sonore le pellicole; ognuno di essi ha pregi e difetti. Le major, intanto, vanno orientando la loro produzione principalmente verso il genere musicale; genere che incontra il favore del pubblico. Senza sonoro, però, tutto appare poco credibile, anche se le orchestre si danno un gran da fare per seguire le immagini. La Warner decide di giocare la carta del musical, e, per rendere l'operazione più accattivante e incisiva, rompe gli indugi scegliendo di dotare di una colonna sonora il film Don Juan (nella versione italiana Don Giovanni e Lucrezia Borgia) di Alan Crosland, con John Barrymore, Mary Astor e Estelle Taylor nella parte di Lucrezia Borgia. Utilizza il sistema Vitaphone ideato da Lee De Forest, che elabora un brevetto del 1898 del francese Auguste Baron. Il sistema prevede un collegamento tra un fonografo su cui posizionare un ingombrante disco con il sonoro, e il proiettore; però l'idea si rivela di difficile gestione tanto che la Paramount decide di non utilizzarlo. La difficoltà sta nell'avvio: entrambi gli apparecchi devono partire nello stesso istante. Ma Don Juan è stato girato come film muto, di conseguenza il sonoro registrato in tempi diversi difficilmente può sincronizzarsi con le immagini anche se i due apparecchi sono correttamente avviati. C'è, poi, il rischio, tutt'altro che remoto, della rottura della pellicola durante la proiezione; tra il disappunto generale, l'operatore, se non vuole ricominciare tutto daccapo, non può far altro che riprendere la proiezione con la pellicola riattaccata, ma difficilmente il sonoro si troverà in sincronia con le azioni[2]. La sonorizzazione della pellicola dal punto di vista del sincronismo si rivela macchinoso e poco affidabile anche agli occhi dei dirigenti Warner. Invece di desistere, i responsabili della WB pensano, per la serata di gala organizzata per il 6 agosto 1926 al Warner Theatre di New York, di affiancare al Don Juan un cortometraggio musicale dimostrativo realizzato in funzione del sonoro: immagini, musiche e canzoni sono registrate simultaneamente. Nel documentano alcuni cantanti lirici tra cui Giovanni Martinelli che canta "Vesti la giubba" da I pagliacci sono accompagnati dalla New York Philarmonica Orchestra, mentre altri strumentisti suonano per una troupe di ballerini spagnoli. Più che il film è il cortometraggio ad attrarre maggiormente l'attenzione del pubblico; anche i critici cinematografici rimangono colpiti e l'indomani si esprimono in termini estremamente positivi sull'esperimento della Warner. Il New York Times scrive: «Il modo in cui il suono combacia con il movimento delle labbra dei cantanti o con i gesti dei musicisti ha qualcosa di miracoloso»[3]. La Warner imbocca la via giusta per risolvere i suoi problemi finanziari, il cinema impara a cantare e presto inizierà anche a parlare. Accade il 6 ottobre del 1927 con il film Il cantante di jazz. È presentato sempre a New York e ancora per mento della Warner che, dopo il successo di Don Juan, chiede a Crosland di rimettersi subito al lavoro. In meno di un anno realizza il film che propone, per la prima volta nella storia del cinema, una sequenza dove è sincronizzata con le immagini una battuta: «Wait a minute you ain't heart nothin'yet!» (Aspettate un momento, gente: non avete ancora sentito nulla!). La recita Al Jolson, il re dello spettacolo teatrale americano, che diviene ancor più popolare dopo l'uscita del film. In effetti la battuta non esiste nella sceneggiatura di impianto convenzionale, legata ancora al cinema muto, anche se diverse canzoni, tra cui la celebre "Mammy", la arricchiscono in modo innovativo. Durante le prese, dopo l'ennesima canzone, Jolson, preso dalla foga, si rivolge alla macchina da presa e pronuncia quella che passerà alla stona come la prima battuta recitata nel cinema. Crosland pensa di tenerla nella edizione definitiva, così come è stata registrata, non immaginando che quella sua decisione decreterà la fine del cinema muto[4]. Una mano la dà anche lo spettatore il quale inizia a disertare le sale dove si proiettano film non sonori. L'innovazione rivoluzionaria riporta il grande pubblico al cinema. Tutte le case di produzione si attrezzano per far parlare i loro film, anche quelli pensati per il muto, o già realizzati. Il musical diviene il genere di riferimento; nel solo 1929 se ne realizzano ben 60. Il primo film interamente dialogato esce a New York l'8 giugno 1928 Si tratta di Lights of New York (Le luci di New York) di Bryan Foy, sempre prodotto dalla Warner che vede allontanarsi l'ipotesi di chiusura della società, anche se una crisi ben più grave sta per vanificare gli sforzi fatti per uscire dal tunnel del fallimento[5].

Sei tu l'amore?: il primo film parlato in italiano

Ricostruzione ideale, utilizzando disegni dell'epoca, della proiezione (sistema Vitaphone) de Il cantante di jazz con Al Jolson e Eugenie Besserer
Helene Costello, Cullen Landis, Eugene Pallette in Le luci di New York (1928) di Bryan Foy. Primo film interamente dialogato.

Alla fine degli anni '20, tra Hollywood e New York, gravita un gruppo di italiani che, avendo tentato di sfondare nel cinema come registi, attori e musicisti, si danno da fare per sbarcare il lunario. Le personalità di spicco sono il calabrese Alfredo Sabato, che lavora per la Paramount, il napoletano Guido Trento, prevalentemente impegnato per la Fox, il mantovano Augusto Galli, in forza alla Metro Goldwyn Mayer (MGM) e il musicista Angelo Cavanna, autore della canzone Sei tu l'amore?. Essi pensano di ricavare dal testo della canzone un soggetto per un film. In breve tempo approntano la sceneggiatura, e, dopo aver fondato la Italtone Inc., si mettono alla ricerca dell'attore che dovrà interpretare il protagonista della stona, Mario, un giovane emigrante. A Hollywood vivacchia il milanese Alberto Rabagliati che si trova da quelle parti per aver vinto in Italia un concorso di rassomiglianza indetto dalla Fox alla disperata ricerca del sostituto di Rodolfo Valentino. A Rabagliati non sembra vero di poter superare la delusione incontrata nell'impatto con la mecca del cinema, lavorando in un film realizzato da italiani e si butta a capofitto nell'iniziativa, collaborando alla ricerca dei finanziamenti tra gli italo-americani sparsi un po' dappertutto. Egli stesso porterà in Italia la pellicola a montaggio concluso. Il regista Sabato affida il ruolo di Giorgetta, una donna sedotta e abbandonata, ad una giovane cantante lirica e ballerina, Luisa Caselotti, figlia di un maestro di canto italiano, Guido, e di Maria, una soprano molto nota tra gli emigranti. Per i ruoli secondari del primo film parlato in italiano, anche se realizzato all'estero, sono scelti Augusto Galli (Ruggero), l'abruzzese Mario De Dominicis e nella parte di Claudio, il palermitano Enrico Armetta (l'oste in Fra diavolo con Stanlio e Ollio), forse il più noto di tutti avendo girato diversi film per la Universal e l'RKO.

La svolta di Pittaluga con La canzone dell'amore

Alberto Rabagliati e Luisa Caselotti in Sei tu l'amore? (1929) di Alfredo Sabato e Guido Trento. Primo film parlato in italiano, ma realizzato all'estero.
Elio Steiner e Dria Paola in La canzone dell'amore (1930) di Gennaro Righelli. Primo film sonoro realizzato in Italia.

L'avvento del sonoro coglie impreparato l'apparato cinematografico italiano che ha dato i primi segni di vitalità intorno al 1910, diversi anni dopo la prima proiezione cinematografica pubblica avvenuta in Italia nel 1896. Attanagliata da una crisi iniziata intorno al 1920, il futuro sembra senza sbocchi soprattutto per l'indifferenza dello Stato. Ma in ogni crisi, prima o poi, si affaccia la personalità di spicco capace di cogliere le inevitabili trasformazioni che il tempo porta con sé in modo da risolvere e superare i periodi di difficoltà. Stefano Pittaluga è l'uomo nuovo del cinema italiano; colui che riuscirà, con tempismo, a inserirsi positivamente nella fase di trasformazione dopo la rivoluzione del sonoro. Nato a Campomorone, in provincia di Genova, nel 1887, Pittaluga, titolare della società di produzione Fert di Torino, decide con lungimiranza, di trasferire la sua attività a Roma dove nel 1927 acquista gli stabilimenti della Cines, assorbendo la UCI (Unione Cinematografica Italiana). Durante la ristrutturazione degli stabilimenti in funzione delle nuove esigenze del sonoro, si adopera per sensibilizzare il mondo del cinema e quello politico sull'assoluta necessità di contenere l'invasione dei film statunitensi e di sostenere finanziariamente la produzione cinematografica italiana[6]. In questo periodo operano in Italia tutte le grandi case degli Stati Uniti (Paramount, MGM, United Artist, 20th C. Fox e Universal), grazie ad esse le circa 2500 distribuite soprattutto nelle città possono svolgere la loro attività, essendo la produzione europea limitata e quella italiana pressoché nulla. Il 23 maggio 1930 si inaugurano i nuovi stabilimenti Cines-Pittaluga alla presenza del Ministro delle Corporazioni, on. Giuseppe Bottai, e di altre personalità. È il segno del sopraggiunto interesse da parte dello Stato fascista verso il cinema, anche per le nuove potenzialità offerte dal sonoro alla macchina propagandistica del regime. Nel 1929 la Società Anonima Stefano Pittaluga (SASP), quale importatrice dei film Warner Bros, fa uscire Il cantante di jazz, nelle città di Roma (19 aprile, al Supercinema), Milano e Torino e, l'anno successivo produce nei suoi stabilimenti La canzone dell'amore di Gennaro Righelli, il primo film sonoro parlato e cantato realizzato in Italia. Riesce a battere sul tempo altre pellicole che stanno per essere immesse sul mercato come Nerone, Napoli che canta, Corte d'assise e, soprattutto, Resurrectio di Alessandro Blasetti, prodotto dalla stessa Cines e terminato prima del film di Righelli, ma per ragioni commerciali lo stesso Pittaluga ritiene più conveniente dare la precedenza a La canzone dell'amore[7]. II soggetto è tratto dalla novella di Pirandello In silenzio, a sceneggiarlo è chiamato Giorgio C. Simonelli, gli interpreti sono Dria Paola (Lucia), Isa Pola (Anna), Elio Steiner (Enrico), Mercedes Brignone (la governante), Olga Capri (la padrona di casa), Camillo Pilotto (Alberto Giordani), Fulvio Testi (Giocondo), Nello Rocchi (Marietto) e Umberto Sacripante, Renato Malavasi. Tra le diverse canzoni c'è Solo per te, Lucia di Cesare Andrea Bixio. Il 5 ottobre del 1930 al Supercinema di Roma La canzone dell'amore è presentato in visione privata a Mussolini, e dopo tre giorni inizia la programmazione su tutto il territorio nazionale dove sono presenti le sale cinematogra-fiche della SASP Finalmente anche l'Italia imbocca la via del sonoro. Il film induce le altre società di produzione a rinnovarsi e lo Stato, ancora totalmente assente, ad intervenire con una legislazione adeguata ai nuovi tempi e con un sostegno economico sostanziale. Nel 1931, in concomitanza della prematura scomparsa di Pittaluga, il governo fascista emana quelle leggi che la cinematografia italiana aspetta da sempre, elargizioni di contributi economici immediati, disposizioni severe per arginare la presenza di film stranieri, obbligo di rendere sonori i cinegiornali dell'Istituto Luce, sorto nel 1927 In prospettiva si stabilisce di affiancare alla Biennale d'Arte di Venezia una mostra del cinema (1932), di creare un centro per la formazione di attori e registi per il cinema (Centro Sperimentale di Cinematografia, 1936), di costruire una città del cinema, individuandone anche l'area nella zona del Quadraro (Cinecittà, 1937). Tutto il settore deve subire una riorganizzazione complessiva per portare in dieci anni la produzione italiana almeno a 100 film l'anno con conseguente riduzione dell'importazione ad un massimo di 200 pellicole. Gli obiettivi sono raggiunti, ma quando all'esigenza di quantità si sta per aggiungere l'aspetto qualitativo il processo è bruscamente interrotto da una guerra abbagliante che rabbuia il mondo e riporta a zero la cinematografia italiana[8].

Note

  1. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 16
  2. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 17
  3. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 18
  4. ibidem
  5. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 20
  6. ibidem
  7. G. Di Cola - "Le voci del tempo perduto", p. 21
  8. ibidem


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