I soliti ignoti

Da Enciclopedia del Doppiaggio.it.


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I soliti ignoti (1958)
{{{titolooriginale}}} | Italia
regia di Mario Monicelli
102 min | B/N | commedia
una produzione Franco Cristaldi
scritto da Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli

soggetto Age & Scarpelli
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Interpreti e personaggi
Doppiatori originali
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Interpreti e personaggi
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Doppiatori italiani

fonte: archivi prof. Gerardo Di Cola

Doppiatori italiani
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Doppiatori trailer
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Doppiaggio italiano: CID
Direzione del doppiaggio: Mario Maldesi
Adattamento dialoghi italiani: {{{dialoghiitaliani}}}
Assistente al doppiaggio: {{{assistentedoppiaggio}}}
Fonico di doppiaggio: {{{fonicodoppiaggio}}}
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Sonorizzazione: {{{sonorizzazione}}}
Edizione italiana: {{{edizioneitaliana}}}
Supervisione artistica: {{{supervisioneartistica}}}
Sincronizzazione: {{{sincronizzazione}}}
Fotografia di Gianni Di Venanzo
Musiche di Piero Umiliani
Effetti speciali a cura di '
Montaggio di Adriana Novelli
Scenografie a cura di Vito Anzalone
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Premi:
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I soliti ignoti è un film del 1958 diretto da Mario Monicelli.

Universalmente noto come uno dei più famosi film appartenenti al genere caper movie[1], la pellicola ottenne una nomination ai Premi Oscar 1959 come miglior film straniero.

Indice

Trama

Cosimo e "Capannelle" due ladruncoli romani, tentano di rubare un'auto ma, a causa dell'intervento della polizia, il primo viene incarcerato mentre il secondo riesce a darsi alla fuga; durante la detenzione Cosimo viene a sapere da un altro detenuto di passaggio nel carcere di un colpo facile da realizzare dentro il Monte di Pietà, ed allo scopo incarica Capannelle di trovare una pecora, ossia qualcuno che, in cambio di denaro, si autoaccusi del tentato furto dell'automobile e gli permetta di uscire.
Capannelle si mette alla ricerca ma gli amici Mario, Michele "Ferribotte" e Tiberio per motivi diversi rifiutano ed allora si cerca tra gli incensurati e la scelta cade su Peppe "er Pantera", un pugile che non è mai riuscito a sfondare e questi si presta ma il giudice non si lascia ingannare e lo fa trattenere, insieme a Cosimo, in carcere. Qui Peppe fa credere a Cosimo di essere stato condannato a tre anni di reclusione e si fa spiegare le modalità del colpo ed, una volta ottenuta l'informazione, svela all'amico di avere ricevuto la condizionale e che uscirà il giorno stesso...

Il film

Dante Cruciani (Totò) mentre spiega come scassinare la cassaforte.

Con questa pellicola del regista toscano si usa generalmente sancire l'esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico che solo successivamente verrà definito come commedia all'italiana e che con il neorealismo, il peplum (i "sandaloni" come dicevano a Cinecittà) e lo spaghetti-wester] rappresenterà uno dei generi più prolifici del cinema italiano del dopoguerra, e certamente uno dei più importanti dal punto di vista artistico.

Con I soliti ignoti nasce in Italia un nuovo tipo di commedia comica che abbandona i canoni praticati nel cinema sino a quel momento, che risalivano sostanzialmente alla florida tradizione dell'avanspettacolo, del varietà o del Cafè Chantant, e che ereditando il testimone del neorealismo si apre alla quotidianità, alla realtà e innesta i suoi caratteri su precisi riferimenti sociali, chiari al pubblico che li vive spesso in prima persona.

I comici de I soliti ignoti cessano per la prima volta di essere delle marionette, delle maschere che giocano la comicità esclusivamente in chiave di gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense, e articolano i dialoghi e le trovate umoristiche su prove definite, a volte anche macchiettistiche e caricaturali, ma riferite sempre ad una sceneggiatura chiara. Molti critici vedono nel personaggio di Dante Cruciani, interpretato da Totò, sulla famosa terrazza del film, un ipotetico passaggio di consegna della comicità: dalle mani del geniale attore napoletano, principe della risata e dell'improvvisazione, a quelle di un gruppo agguerrito di sapienti sceneggiatori (Sergio Amidei, Rodolfo Sonego, Age e Scarpelli, Ettore Scola, Ruggero Maccari), che la utilizzeranno per raccontare la realtà in un momento di passaggio importante per la storia nazionale, ricco di contraddizioni, di incompatibilità tra vecchio e nuovo, di identità fallaci e passeggere, costruite spesso su condizionamenti sociali e culturali provenienti da oltreoceano o da oltralpe.

L'ideazione de I soliti ignoti nasce in chiave caricaturale. Come lo stesso Monicelli ammette, si voleva in principio parodiare un certo genere di film noir francese o di gangster americano, particolarmente in voga nelle sale cinematografiche italiane di quegli anni, e apprezzato dal pubblico che frequentava le terze visioni. Il riferimento è senz'altro a Rififi di Jules Dassin del 1955, dove una banda di quattro criminali professionisti progetta un colpo perfetto che si rivelerà un fallimento. A riprova di ciò lo stesso regista ci informa che uno dei titoli provvisori del film, in fase di produzione, doveva essere Rifufu, una evidente storpiatura del titolo francese.

Ma sarebbe un grave errore credere che I soliti ignoti esaurisca i suoi contenuti nella parodia di un genere. Il film si arricchisce di novità importanti e di contesti originali nel corso della sua produzione, tanto da lasciare in secondo piano la sua genesi parodistica. È di nuovo lo stesso regista che ci informa come il film fosse stato concepito anche in chiave drammatica e fortemente tragica.

I soliti ignoti, come afferma Carlo Lizzani, porta il comico fuori dei confini consueti della farsa, e acquisisce una propria consistenza cinematografica. Per la prima volta in un film comico italiano si assiste alla morte tragica di uno dei protagonisti (Carlo Lizzani, "Il cinema italiano", Parenti, 1961). La morte o comunque il fallimento di un'impresa è una tematica fondamentale nella cinematografia di Monicelli. Il regista la spiega con le radici stesse della commedia. La storia della commedia, della commedia dell'arte, è popolata dalla morte, da presenze sinistre e maligne, da fallimenti di imprese maldestre, da miserabili morti di fame che nella imitazione di Arlecchino e Pulcinella, si arrabattano tutto il giorno in cerca di un espediente definitivo, di una trovata finale. Il cinema di Monicelli rispecchia in pieno questa vena tragica della nostra commedia, e si inserisce nel solco della sua tradizione.

Mario (Renato Salvatori) e Carmelina (Claudia Cardinale).

Ma non è solo in questo elemento tradizionale-narrativo che si esaurisce la vena drammatica della pellicola. È la Roma che viene descritta, quella dei quartieri popolari, dei grandi "casermoni" della periferia degradata, la Roma del sottoproletariato urbano estraneo ai processi economici del boom, che fa da sfondo tragico alle gesta della miserabile banda del buco rappresentata dai vari Pantera, Capannelle, Tiberio, Ferribotte. È la stessa Roma che descrive Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita, intesa anche in senso topografico. È significativo al riguardo il dialogo breve che Capannelle sostiene con un ragazzino incontrato per caso e al quale si rivolge per chiedere informazioni su un certo Mario. Il dialogo potrebbe avere perfettamente luogo in una delle pagine del romanzo pasoliniano.

La fotografia fu particolarmente curata da questo ultimo punto di vista. Le immagini dovevano restituire l'idea di una Roma drammatica, per cui furono evitati volutamente i toni eccessivamente luminosi, si preferirono i contrasti e i tagli decisi e nei costumi si evitarono le concessioni al vezzo e alla comodità, curando invece quello che doveva fornire l'estemporaneità di un abbigliamento dettato solo dallo stato di indigenza (vedansi i pantaloni da cavallerizzo che Capannelle indossa per tutto il film).

Il film per la sua novità non fu accolto favorevolmente dalla critica ufficiale, che aveva ben chiari i riferimenti. Da principio non fu apprezzata la scelta di sostituire i comici d'arte con degli attori seri già affermati in contesti drammatici (Vittorio Gassman); Totò, notoriamente non amato dalla critica colta ma fortemente caldeggiato dai produttori, fu giudicato eccessivo nonostante la sua interpretazione limitata. In sostanza, l'ambiente ufficiale non era pronto ad accogliere quella che si rivelerà la trovata ad effetto del film, la trasformazione di attori seri in "caratteri" della commedia, dotati di una grande vis comica. La scena del set comico, nella opinione dei critici più severi, avrebbe dovuto somigliare ancora al palcoscenico di un varietà dove i maestri solitari, coadiuvati da abili spalle, si avvicendavano nell'intrattenimento del pubblico.

I doppiatori italiani de I soliti ignoti

Gli stessi produttori contrastarono a lungo la scelta di Vittorio Gassman (La produzione pensò ad Alberto Sordi). La sua aria intellettuale e soprattutto il suo repertorio teatrale drammatico unito ai ruoli "cattivi" che aveva interpretato in precedenza non davano alcuna garanzia di successo. Ma regista e sceneggiatori seppero resistere alle richieste dei produttori. Avevano modellato tutti i personaggi intorno ad un baricentro realistico e li avevano poi corredati di un patrimonio farsesco sul quale si sarebbe dovuta giocare tutta la comicità. Per "il Pantera" si ricorse ad un trucco pesantissimo che abbassò l'attaccatura dei capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le labbra in quell'aria da ebete caratteristica di un pugile suonato di periferia. Fu studiata l'andatura e infine concepita la balbuzie, con effetti comici esilaranti.

Al di là delle caratterizzazioni dei personaggi è importante definire quello che sarà un tema importante e ricorrente del genere, una costante che seppur trasformata rimarrà centrale nel corso della storia decennale della commedia all'italiana, dal suo nascere, alla fine degli anni cinquanta, sino al suo tramonto, alle metà degli anni settanta: la rappresentazione del sistema sociale attraverso le classi e la critica dura alla società del benessere, colta nei suoi scompensi e nelle sue contraddizioni.

I soliti ignoti da questo punto di vista è un grande mosaico storico che ci restituisce con leggerezza l'immagine complessa di un'epoca. Un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all'attacco della nuova società di massa della quale però sente un'attrazione sempre più forte. Società che viene nel film rappresentata esclusivamente dai miti di importazione americana: facile benessere economico, liberalizzazione dei costumi sessuali, comfort abitativi. La connotazione farsesca nasce sul modo di rapportarsi che i protagonisti hanno con questa doppia identità, divisi tra tradizione e innovazione. I valori tradizionali di riferimento rimangono sempre benevoli ed evidenti sullo sfondo della vicenda e sono rappresentati via via da quasi tutti i personaggi: da Carmelina Claudia Cardinale (la sicurezza del vero legame affettivo), dalla dolcissima Nicoletta Carla Gravina (l'innocenza) e dallo stesso Cruciani Totò (la saggezza della vecchiaia). Il gruppo rimane titubante per tutta la durata del film, nessuno riesce con convinzione ad abbracciare quello spirito nuovo che viene riflesso dalla società del benessere, nemmeno il protagonista, "il Pantera", che solitario in un'opera di autoconvincimento continua a ripetere: «È sc-sc-scientifico!», quindi moderno, quindi giusto, legale, morale.

I sequel

I remake hollywoodiani

Il successo de I soliti ignoti ha varcato i confini nazionali per approdare ad Hollywood, che lo ha apprezzato al punto da realizzarne alcuni remake nel corso degli anni:

Note

  1. (EN) Best "Heist Movie" Titles. IMDb.com

Collegamenti esterni


Totò (1898 - 1967)
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