Dario Edoardo Viganò

Da Enciclopedia del Doppiaggio.it.
Darioedoardovigano.jpg
Dario Edoardo Viganò
Current user rating: 0% (0 votes)

 You need to enable Javascript to vote

Dario Edoardo Viganò (Rio de Janeiro, 27 giugno 1962) è un sacerdote, accademico e scrittore italiano.


Autore di libri ed articoli dedicati al rapporto tra il cinema ed il mondo cattolico, è Professore ordinario di Comunicazione presso la Pontificia Università Lateranense, dove è Direttore del Centro Lateranense Alti Studi. Insegna Linguaggi e mercati dell’audiovisivo presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’università LUISS “Guido Carli”, dove è membro del Comitato direttivo del centro di ricerca Centre for Media and Communication Studies (CMCS) “Massimo Baldini”. Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e Direttore della «Rivista del Cinematografo».

Per approfondimenti www.darioedoardovigano.com

Indice

Formazione

Studia filosofia e teologia presso l’Università degli Studi di Milano. Durante i suoi studi di dottorato in storia del cinema (pubblicati nel 1997 da Edizioni Castoro)[1], lavora presso l'ufficio per le comunicazioni sociali della Diocesi di Milano, dove è responsabile delle sale della comunità. Consegue licenza e dottorato in Scienze della comunicazione presso l’Università Pontificia Salesiana.

Il 13 giugno 1987 è ordinato Sacerdote dal Cardinale Carlo Maria Martini[2], Arcivescovo della diocesi di Milano e inizia a collaborare con la Conferenza Episcopale Italiana. Diviene docente incaricato di etica e deontologia dei media presso l’Alta Scuola di Specializzazione in Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e docente di semiotica del cinema e degli audiovisivi e semiotica e comunicazione d’impresa presso la Facoltà di Scienze della comunicazione dell’università LUMSA (Libera Università Maria Santissima Assunta) di Roma.

È professore ordinario di Teologia della comunicazione e Preside dell'Istituto pastorale Redemptor hominis[3] presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, dove viene nominato, inoltre, Direttore del Centro Interdisciplinare Lateranense.

È docente incaricato di Semiotica del cinema e degli audiovisivi, Linguaggi e mercati dell’audiovisivo e Teoria e tecniche del cinema, presso la facoltà di Scienze Politiche della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali LUISS “Guido Carli” di Roma[4], dove nel 2008 è nominato membro del Comitato direttivo del centro di ricerca Centre for Media and Communication Studies (CMCS) "Massimo Baldini"[5] (centro di ricerca diretto da Michele Sorice e dedicato alla memoria di Massimo Baldini) nonché membro del comitato scientifico della serie editoriale CMCS-LUISS Working Papers.

Nel 2011 è nominato “Socio corrispondente” della Pontificia Accademia di Teologia[6].

Carriera

Nel 2004 a Dario Edoardo Viganò viene chiesto di assumere il ruolo di Presidente dell’Ente dello Spettacolo (EdS), organizzazione cinematografica fondata nel 1946 e che, nel 2006, diviene la Fondazione Ente dello Spettacolo (FEdS). È inoltre Direttore della rivista «Rivista del Cinematografo» (la più longeva rivista italiana sul cinema, fondata a Milano nel 1928 e curata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo).

È nominato membro della Commissione per la cinematografia – Sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale, da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione generale per il cinema[7] e Presidente della Commissione Nazionale Valutazione Film (CNVF), della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)[8].

Nel 2008 diviene membro del Consiglio di Amministrazione[9] della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia[10], con delega alla Cineteca Nazionale e all'editoria[11].

Negli ultimi dieci anni Dario Edoardo Viganò è stato assistente di ricerca, per il settore cinema, dell'Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana, diretto da mons. Domenico Pompili[12]. È anche Direttore scientifico del corso di formazione in e-learning “ANICEC”, rivolto agli Animatori della comunicazione e della cultura[13]. Il corso si avvale del supporto accademico del Centro interdisciplinare Lateranense della Pontificia Università Lateranense ed è promosso dalla Fondazione Comunicazione e Cultura della Conferenza Episcopale Italiana[14].

Nel 2010, Dario Edoardo Viganò è scelto come membro della giuria di “Controcampo italiano”, sezione competitiva sulle tendenze del cinema italiano alla 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia[15], la cui giuria è composta, oltre che da Dario Edoardo Viganò, dall'attore Valerio Mastandrea (Presidente della giuria) e dalla regista Susanna Nicchiarelli.


Dario Edoardo Viganò sul doppiaggio: l'intervista

Dario Edoardo Viganò intervistato sul doppiaggio da Gerardo Di Cola e Andrea Razza (2012)
Guarda il video

a cura di Gerardo Di Cola e Andrea Razza - Roma, 16 novembre 2012
© Riproduzione riservata

1) Chi sono i critici cinematografici, che compiti hanno e quale influenza esercitano nell’ambito della cultura cinematografica?
Da qualche tempo sono in molti a piangere la scomparsa della critica cinematografica, nata all’inizio del Novecento con l’obiettivo di analizzare, spiegare e giudicare un’opera cinematografica e conferire al cinema quella dignità artistica che sembrava essergli negata. Quella che ci troviamo di fronte oggi è una critica multiforme, migrata dalle pagine dei giornali verso diversi ambiti mediali, non ultimo internet. Se al cinema resta comunque il primato di interprete della realtà, il critico cinematografico oggi si conferma punto di riferimento fondamentale nella decifrazione del reale, mediatore ideale tra l’universo cinematografico e i suoi spettatori, “traghettatore” verso nuovi stili e nuovi talenti.

2) Il cinema italiano fin dall’avvento del sonoro ha avuto bisogno del doppiaggio per permettere a quello straniero di entrare nel mercato del nostro Paese. La critica cinematografica ha mostrato indifferenza, e in qualche caso aperta ostilità, nei confronti del doppiaggio. Secondo Lei quali sono i motivi che specialmente in passato hanno indotto gli esperti di cinema a non parlare di doppiaggio?
Alla fine degli anni Venti la rivoluzione del sonoro portò con sé un problema di difficile risoluzione per le majors d’oltreoceano: la necessità di far proseguire l’illusione che il cinema potesse disporre di un “esperanto”, un linguaggio comprensibile in ogni angolo del mondo. Se la sottotitolazione – che traduceva solo stralci essenziali del dialogo – non sembrava soddisfacente, la soluzione di realizzare contemporaneamente uno stesso film in più versioni destinate a diversi mercati si rivela un escamotage troppo costoso e dalla vita breve. A spuntarla è così lo speciale procedimento inventato dall’austriaco Jacob Karol, il dubbing (doppiaggio) che, partito da Hollywood approda anche in Italia. Qui, fin dagli anni Trenta – a causa delle restrizioni imposte dal regime fascista e dal suo tentativo di “italianizzare” i film stranieri, che portarono addirittura alla soppressione di «ogni scena dialogata o comunque parlata in lingua straniera» – il doppiaggio ha una grande espansione, estendendosi anche ai film nostrani. Già nel 1932 infatti, la Cines-Pittaluga di Emilio Cecchi inaugura il primo stabilimento di doppiaggio diretto da Mario Almirante, aprendo la strada a quella che in pochi anni si trasforma in una grande tradizione, unica in tutto il mondo. I rapporti tra la critica cinematografica e il mondo del doppiaggio, però, sono da sempre contrassegnati da una conflittualità costellata da accuse di manipolazioni, scempi e infedeltà che si è andata parzialmente appianando solo negli ultimi anni, in cui si è assistito a un’inversione di tendenza, con il moltiplicarsi di premi e riconoscimenti, di volumi e festival dedicati all’universo del doppiaggio. I motivi di questa incomprensione sembrano essere molteplici e difficilmente rintracciabili, anche se porrei l’accento soprattutto sull’atteggiamento intellettualistico dietro cui una cospicua parte della critica nostrana si trincera da sempre, che l’ha allontanata dalle dinamiche del consumo cinematografico popolare. Nella convinzione che nel doppiaggio si perdesse quella varietà e fluidità caratteristica dei dialoghi originali, sono stati in molti ad esempio a distorcere il fenomeno-doppiaggio interpretandolo quasi esclusivamente attraverso la lente deformante del divismo, in questo caso un voice system, che non ha però agganci con la realtà: infatti sono rari i casi in cui il doppiaggio turba il rapporto voce-volto.

3) Prima della Seconda Guerra Mondiale alcuni film italiani erano doppiati. Dopo la guerra tutti i film italiani erano doppiati. Un fenomeno, quindi, clamoroso e unico nel panorama della cinematografia mondiale. Non crede che la critica avrebbe avuto il dovere di dare conto di questa realtà piuttosto che ignorarlo e fare finta di niente?
Se prima della Seconda Guerra Mondiale alcuni attori italiani ricorrevano al doppiaggio, la rivoluzione neorealista – con gli attori presi dalla strada e le riprese all’aperto – favorisce il dilagare della post-sincronizzazione. La pratica del doppiaggio di film nazionali diviene così una prerogativa precipua del nostro cinema e, mentre una parte sostanziosa della critica storce la bocca, sono pochi a rendersi conto che il doppiaggio è una fase del processo creativo e artistico del prodotto cinematografico e come tale debba essere analizzata. Forse il motivo di tanta indifferenza si cela nell’incapacità dei nostri intellettuali di capire la portata di questo fenomeno nel panorama internazionale. La critica del tempo infatti preferisce concentrarsi sul problema della traduzione e della fedeltà al dialogo originale, sulla mancanza nel nostro sistema di produzione cinematografico di soddisfacenti strumenti per registrare il sonoro in presa diretta, dimenticando di analizzare il pubblico cinematografico con le sue abitudini e preferenze.

4) L’emblema della rinascita della cinematografia italiana è Roma città aperta, un film totalmente doppiato. Soltanto da pochi anni questo dato è emerso: dalle mie ricerche per la realizzazione di Le voci del tempo perduto prima ricostruzione storica del doppiaggio realizzata in Italia. Perché ci sono voluti oltre cinquant’anni per far conoscere una particolarità che riteniamo non trascurabile?
Il suo libro, che nasce da una autentica passione per il cinema e da una forte nostalgia per un passato dimenticato, è un vero e proprio viaggio nella memoria ‘perduta’ del cinema italiano, a riscoprire quelle voci che fanno indubitabilmente parte del nostro immaginario, impossibili da separare dai volti dei protagonisti. Scoprire dopo cinquant’anni che Roma città aperta, capolavoro neorealista che segna la rivalsa della nostra cinematografia in campo internazionale, fu come tanti altri doppiato totalmente ha lasciato interdetta una fetta della critica e del pubblico. Se Anna Magnani, Aldo Fabrizi e Nando Bruno recitano con la propria voce, sono molti – da Marcello Pagliero a Francesco Grandjacquet, per fare soltanto qualche esempio – a farsi doppiare, pretendendo però il silenzio della carta stampata e della critica sull’argomento, coadiuvati in questo dai doppiatori, che in quel periodo vedono le loro retribuzioni aumentare anche del 50%. Si tratta di una riscoperta, come dice lei, ma anche una conferma: il film è stato infatti girato negli ultimi mesi di guerra, tra mille disagi, tra cui la mancanza di dispositivi di registrazione del sonoro adeguati e con pellicola scaduta. In un periodo in cui il pubblico era abituato a un cinema meno “dialettofono”, in cui i protagonisti sporcavano il loro perfetto italiano con coloriture locali, il doppiaggio si doveva del resto presentare come unica scelta per conferire al film quel sapore mimetico e popolare che ne diventa la cifra stilistica e la chiave del successo. L’ostracismo da parte degli attori, invece, era destinato a durare. Se Gina Lollobrigida ricorda con nostalgia i suoi esordi cinematografici, quando la sua voce roca la costringeva ad essere doppiata o Tiberio Murgia si divertiva raccontando di come aveva scoperto che il suo Ferribotte parlava un siciliano incomprensibile, sono in molti, da Al Bano a Stefania Sandrelli e Marisa Merlini, a rimanere interdetti e tentare di sorvolare sull’argomento.

5) Per restare a Roma città aperta. Un fenomeno di attualità è quello relativo ai ridoppiaggi di film del passato, ma non solo. Con la scusa dell’audio scadente per la qualità necessaria a realizzare i DVD, si ridoppiano i classici della cinematografia straniera. La stessa necessità dovrebbe riscontrarsi per i capolavori italiani del neorealismo, ma nessuno si sogna di ridoppiare Roma città aperta che ha un audio altrettanto improponibile per il famigerato sistema audio 5.1. Lei che posizione ha nei confronti di questo grave problema? Che effetto Le ha fatto il ridoppiaggio di Via col vento e C'era una volta in America? Come reagirebbe al ridoppiaggio di Anna Magnani e Aldo Fabrizi che nel film Roma città aperta si auto-doppiavano?
Il restauro dei capolavori della storia del cinema – che investe le immagini ma anche i suoni, la colonna sonora e il doppiaggio originale – è un lavoro complesso che richiede competenze e tecniche all'avanguardia. Sogno di qualsiasi cinefilo è riuscire a vedere ogni capolavoro della storia del cinema – sia italiano sia internazionale – nel proprio splendore originario e con tutte le migliorie che le nuove tecnologie potrebbero apportare. Mentre il caso di C'era una volta in America si presenta in tutta la sua particolarità – dal momento che nell’ottobre di quest’anno è stata distribuita per la prima volta la versione senza i tagli operati all’epoca dalla produzione – quello di Via col vento appare nella sua straordinarietà. Il ridoppiaggio del capolavoro di Victor Fleming, infatti, ci regala una versione lontana dai retaggi di una traduzione troppo legata a un periodo storico ormai lontano, a un italiano ormai arcaico e dimenticato. Una situazione con i pro e i contro del caso che ci fa porre una domanda a cui sembra difficile poter trovare una riposta: quanto uno svecchiamento linguistico potrebbe abbattere la sensazione di spaesamento di vedere Pina correre dietro il camion che sta portando via il suo Francesco, senza sentire quell’urlo che ha reso famosa Anna Magnani.

6) Tutti i registi italiani, almeno nel passato, usavano il doppiaggio. Qualcuno, pur usandolo, lo criticava aspramente, spesso attribuendone la colpa ai doppiatori. Lei, in qualità di storico e esperto di cinema, cosa si sentirebbe di dire a questi registi ingrati e contraddittori?
Da Citto Maselli a Pasolini, fino a Fellini che spesso, durante le riprese, chiedeva ai suoi interpreti, volti scelti per dare corpo alle sue creature fantastiche, di pronunciare soltanto numeri producendo un curioso effetto straniante che sarebbe stato risolto in fase di montaggio, molti registi italiani facevano ricorso al doppiaggio per i loro film. Dopo il deludente tentativo di presa diretta di Bellissima, per Rocco e i suoi fratelli fu lo stesso Visconti a dirigere il doppiaggio. Molti registi, però, pur facendo largo uso del doppiaggio, si lamentavano di questa pratica, che secondo loro contrastava con la creatività artistica e comunicativa degli attori e spesso non trovava nei doppiatori degli interpreti efficaci. Se Sergio Leone si è sempre schierato apertamente contro l’uso del doppiaggio, un manipolo di registi che contava tra le sue fila Fellini, Montaldo, Pietrangeli e Risi, arrivava nel 1968 alla firma di una dichiarazione programmatica contro ogni abuso indiscriminato dell’arte del doppiaggio. Un atteggiamento fortemente contraddittorio, ma che non mi sembra rispondere alla realtà, dal momento che la professionalità dei nostri doppiatori è universalmente nota e per di più ha ragione il regista Vasconcelos quando afferma che il doppiaggio è «la prova del nove della libertà e della vitalità di una cultura che abbia voglia di aprirsi ad altre culture per conoscere e farsi conoscere».

7) Sempre nell’ambito delle ricerche condotte per togliere la coltre che ha sempre oscurato il mondo delle voci ci siamo resi conto che tanti attori e attrici importanti del cinema italiano erano doppiati. Cosa pensa degli interpreti italiani che si facevano doppiare?
Forse l’esempio più noto presso il grande pubblico è quello di un esordiente Marcello Mastroianni doppiato da un ancora poco conosciuto Alberto Sordi in Domenica d’agosto di Luciano Emmer, ma comunque non mancano nella storia del cinema italiano gli attori che hanno fatto ricorso al doppiaggio. Da Anna Magnani, a cui prestò più volte la voce Tina Lattanzi, a Silvana Mangano, Gina Lollobrigida e Vittorio Gassman. Forse per una questione di perfezionismo, se vogliamo partire dall’assunto di Ennio Flaiano secondo il quale l'italiano è una lingua parlata dai doppiatori; o forse perché – come nel caso di una giovanissima Claudia Cardinale o di Terence Hill alias Massimo Girotti – conoscevano poco l’italiano. Sono poi molti gli attori ad essersi cimentati nel doppiaggio: può essere utile ricordare ad esempio che all’inizio della sua carriera, Sordi si presenta sui palcoscenici dei teatri d’avanspettacolo come “la voce cinematografica di Oliver Hardy”. Episodi che fanno pensare all’epoca d’oro del cinema, quando uno spaesato Ninetto Davoli si stupiva nel vedere un doppiatore che in piedi dinanzi a un microfono prendeva totalmente e perfettamente il suo posto, e che mi fanno sorgere spontanea una domanda: doppiare i nostri film, i nostri attori, non potrebbe essere il passepartout da sempre inseguito per far arrivare il nostro cinema all’estero?

8) Abbiamo detto che la critica cinematografica non si cura del doppiaggio e, quando si spinge a parlarne, si esprime quasi sempre in termini negativi. Secondo Lei non sarebbe più corretto parlare di doppiaggio per stimolarlo a essere qualitativamente sempre migliore?
Come ho già detto, il rapporto tra la critica cinematografica e il doppiaggio sembra essere negli ultimi anni migliorato: oltre a essersi moltiplicati i riconoscimenti ai lavoratori del settore, sono molti i critici a concedere spazio ai doppiatori nei loro lavori. Sicuramente parlare del nostro sistema di doppiaggio è importante, poiché si tratta di una macchina ben congegnata, esperta nella scelta delle voci adatte ai tratti caratteristici di ogni attore, fondamentale nella creazione di ogni figura divistica, ma su cui bisogna tenere alta la tensione. Sono in pochi a conoscere la durezza dei turni di doppiaggio e la precisione dei nostri direttori di doppiaggio, maestri nel loro campo. Il mondo del cinema – e il doppiaggio ne fa parte – è legato a doppio filo alla realtà e come tale non può permettersi di disattenderne le suggestioni e i mutamenti.

9) Lei ha scritto tanti libri sul cinema e dirige una rivista importante, La Rivista del Cinematografo, nata nel 1928 è la più antica pubblicazione italiana del settore. Che spazio ha dato al doppiaggio nei suoi lavori?
La rivista che mi onoro di dirigere ha spesso rivolto la sua attenzione al doppiaggio, dedicandogli interviste, focus e in passato anche un numero monografico. Da parte mia, ritengo che il doppiaggio faccia parte integrante del sistema-cinema e abbia un posto di rilievo in ogni speculazione. Pur non essendomi mai concentrato sul fenomeno in sé, le mie analisi lo coinvolgono dal momento che è il doppiaggio a restituire analogicità – e quindi pieno statuto simbolico – alla componente linguistica dell’immagine sonora. È attraverso le sue manipolazioni e integrazioni che la maggior parte degli spettatori arriva a carpire lo spirito del film, la sua essenza e le intenzioni del cineasta.

9 bis) È uscito poche settimane fa il Suo ultimo libro: La maschera del potere. Qual è la principale differenza che ha potuto riscontrare nel rapporto con il potere tra il cinema italiano e quello americano?
In La maschera del potere ho concentrato la mia analisi sul potere e la leadership e sulla loro forza irriducibile nell’essere umano: persino il camaleontico Charlie Chaplin si stupì di come indossare la divisa del tirannico e arrogante Hynkel nel Grande dittatore sconvolgeva in profondità il suo modo di essere. Il potere ha certamente infinite sfumature e incredibili declinazioni: da quello militare, messo in campo dai vari fascismi, a quello intellettuale, così preponderante nella storia d’Italia degli ultimi cento anni, fino a quello dei leader carismatici che sembra essere il mito fondativo del cinema americano. Sembra risiedere proprio qui la principale differenze tra il nostro cinema e quello statunitense. Se il cinema italiano – da quello d’autore alla commedia, passando per i polizieschi e i film di genere – ha cercato di svelare in un cortocircuito tra riso e denuncia le mille maschere indossate dal potere; la cinematografia americana, forte di un idealismo mai sopito di un pathos mai negato, ha investigato tra le profonde ferite della storia, alla ricerca della figura del leader.

10) Professore, ci permetta di fare anche a Lei l’ultima domanda che abbiamo posto al compianto direttore di doppiaggio Mario Maldesi nell’intervista realizzata qualche mese fa. Non crede che la storia del cinema italiano debba essere riscritta anche dal punto di vista del doppiaggio?
Scrivere una storia del cinema italiano da questo punto di vista sarebbe un’avventura interessante che coinvolgerebbe volti e voci più o meno noti del nostro passato. Dal momento che, però, sono molti i film stranieri per i quali in Italia è stato il doppiaggio a decretarne il successo, la vera sfida sarebbe un’altra: quella di una storia del cinema internazionale raccontata dai doppiatori, poiché – per riprendere una battuta che Luchino Visconti fa pronunciare a Maddalena/Anna Magnani in Bellissima mentre ascolta la voce ineguagliabile di Emilio Cigoli: «Lo senti? È coso... Burt Lancaster. Quant’è simpatico!».

Opere

  • La maschera del potere. Carisma e leadership nel cinema, Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo, 2012
  • POP FILM ART. Visual culture, moda e design nel cinema italiano anni '60 e '70, Edizioni Sabinae, Roma (con Stefano Della Casa), 2012
  • Cari Maestri. Da Susanne Bier a Gianni Amelio i registi si interrogano sull'importanza dell'educazione, Cittadella editrice, 2011
  • Chiesa e pubblicità. Storia e analisi degli spot 8x1000, Rubbettino Editore Soveria Mannelli, 2011
  • Il prete di celluloide. Nove sguardi d’autore, Cittadella editrice Assisi, 2011
  • La musa impara a digitare. Uomo, media e società, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2009
  • La Chiesa nel tempo dei media, Edizioni OCD, Roma, 2008
  • L’adesso del domani. Raffigurazioni della speranza nel cinema moderno e contemporaneo, Effatà Editrice, Torino (con G. Scarafile), 2007
  • Gesù e la macchina da presa. Dizionario ragionato del cinema cristologico", Lateran University Press, Città del Vaticano, 2005
  • I sentieri della comunicazione: storia e teorie, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003
  • Cinema e Chiesa. I documenti del Magistero, Effatà Editrice, Torino, 2002
  • Essere. Parola. Immagine. Percorsi del cinema biblico, Effatà Editrice, Torino (con D. Iannotta), 2000
  • Un cinema ogni campanile. Chiesa e cinema nella diocesi di Milano, Il Castoro, Milano, 1997
  • La settima stanza. Un film di Márta Mészáros, Centro Ambrosiano, Milano (con C. Bettinelli), 1997
  • I mondi della comunicazione, Centro Ambrosiano, Milano (con M. L. Bionda, A. Bourlot), 1997
  • I figli e la televisione, In dialogo, Milano (con M. L. Bionda, G. Michelone), 1996
  • I preti del cinema. Tra vocazione e provocazione, Istituto di Propaganda Libraria, Milano (con E. Alberione), 1995
  • Cinema, cinema, cinema. Dalle origini ai nostri giorni, Edizioni Paoline, Milano (con G. Michelone), 1995
  • La televisione in famiglia. Trasmissioni a confronto, Edizioni Paoline, Milano (con G. Michelone), 1995
  • Il teleforum. Domande e risposte sul piccolo schermo, Edizioni Paoline, Milano (con G. Michelone), 1994

Note

  1. Studi di Dottorato pubblicati in Storia del Cinema
  2. Nel 1987 è ordinato Sacerdote testimoniato dalla Giuda alla Diocesi di Milano 2010
  3. Preside dell'Istituto pastorale Redemptor hominis
  4. Docente incaricato di Semiotica del cinema e degli audiovisivi, Linguaggi e mercati dell’audiovisivo e Teoria e tecniche del cinema, presso la facoltà di Scienze Politiche della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali LUISS “Guido Carli” di Roma
  5. Membro del Comitato direttivo del Centro di ricerca Centre for Media and Communication Studies (CMCS) "Massimo Baldini"
  6. “Socio corrispondente” della Pontificia Academica Theologica
  7. Nominato membro della Commissione per la cinematografia – Sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale, da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione generale per il cinema
  8. Presidente della Commissione Nazionale Valutazione Film (CNVF), della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
  9. Membro del Consiglio di Amministrazione (altra fonte) della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia
  10. Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia
  11. Delegato alla Cineteca Nazionale e all'editoria
  12. Assistente di ricerca per il settore cinema dell'Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana
  13. Direttore scientifico del corso di formazione in e-learning “ANICEC”
  14. Centro interdisciplinare Lateranense della Pontificia Università Lateranens]
  15. Membro della giuria di “Controcampo italiano”, sezione competitiva sulle tendenze del cinema italiano alla 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia

Collegamenti esterni


  • Cinema Portale Cinema: accedi alle voci de enciclopediadeldoppiaggio che trattano di Cinema

Strumenti personali
Namespace
Varianti
Azioni
Navigazione
DOPPIAGGIO
INDICI A-Z
Strumenti